Chronic diseases and Forest Therapy: the challenge of “complexity”
da: Il Cesalpino 54/2021 · Ambiente e salute: la terapia forestale
Pierangela Fiammetta Piras* – Giuseppe Barbiero**
*MD, Responsabile Terapie Forestali, Rete Terapie
Forestali in Foreste Italiane (TeFFIt-OE), Il Bosco di
Puck, Cortona, Italy
**GREEN LEAF – Groupe de Recherche en
Education à l’Environnement et à la Nature,
Laboratorio di Ecologia Affettiva, Università della
Valle d’Aosta – Université de la Vallée d’Aoste –
Italy
Per corrispondenza:
[email protected]
Riassunto
Le Terapie Forestali (TF) sono una pratica di sanità pubblica basata sull’evidenza (Evidence-Based Medicine), che
propone attività in ambienti caratterizzati da un ampio range di naturalità.
Numerose ricerche sono state condotte
per individuare i singoli elementi delle
foreste che possono agire sulla salute
umana, anche in relazione all’osservata efficacia nei confronti delle malattie
croniche. L’approccio riduzionista lineare risulta tuttavia insufficiente per descrivere la complessità dell’ecosistema
forestale, con il quale i sensi e il corpo
umano interagiscono da decine di migliaia di anni. Le malattie croniche condividono con le foreste la complessità e
le proprietà emergenti. Per rappresentare l’analisi sistematica dei fattori non
genetici che influenzano la salute umana, superando la linearità delle associazioni “una esposizione-un risultato”,
è stato introdotto il concetto di esposoma. L’esposoma consente di studiare
anche gli effetti della frequentazione
delle foreste sull’organismo umano in
termini sistemici, superando l’idea che
organi e apparati siano indipendenti
l’uno dall’altro e che su ciascuno possano essere efficaci singoli elementi forestali. In ambito medico, le TF possono
essere l’ambiente ideale per affrontare
alcune malattie croniche. Tuttavia, la
prescrizione medica delle TF dipende
da una precisa descrizione e comprensione dei diversi ecosistemi forestali e
dei loro effetti sulla salute umana, soprattutto nelle Immersioni in Foresta.
L’inquadramento sistemico delle TF
richiede una collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte in
esse, per definire Linee Guida alle quali
i medici prescrittori, i conduttori in foresta e gli operatori forestali potranno
riferirsi.
Parole chiave: Terapie forestali, Immersioni in Foresta, malattie croniche,
biodiversità, medicina sistemica, esposoma
Abstract
Forest therapy is a form of evidence-based
medicine involving activities in environments that offer a wide range of natural
characteristics. A substantial body of research has been carried out to identify
the specific features of forests that can
act on human health, including their observed efficacy concerning chronic diseases. A linear reductionist approach is,
however, inadequate for describing the
complexity of forest ecosystems, which
have interacted for tens of thousands of
years with the human senses and body.
Chronic diseases exhibit the same complexity and emergent properties as the
forest. The concept of exposome has been
introduced to represent the systematic
analysis of non-genetic factors that influence human health, superseding the
linearity of the “one exposure-one result”
association. The exposome enables study
of the effects of being in the forest on the
human organism in systemic terms, going
beyond the idea that organs and systems
are independent of each other and that
for each one single features of the forest
can be efficacious. In the medical field,
forest therapy activities can provide an
ideal environment for dealing with certain chronic diseases. At the same time,
a medical prescription of forest therapy
must be based on a precise description
and understanding of different forest
ecosystems and their effects on human
health, above all as regards the practice
of forest immersion. A systemic overview
of forest therapy requires collaboration
between various professional figures to
define guidelines to which doctors who
prescribe the therapy, its practitioners in
the forest and forest workers can refer.
Keywords: Forest Therapy, Shinrin-Yoku (Forest Bathing), Chronic Diseases, Biodiversity, System
Medicine, Exposome
Introduzione
Le Terapie Forestali sono una pratica di sanità pubblica basata sull’evidenza (Evidence-Based Medicine)1, che prevede la proposta di attività, perlopiù di per sé salutari, in ambienti caratterizzati da un certo grado di naturalità2. In quest’ottica, si è a lungo ritenuto che i benefici osservati risultassero dalla sommatoria di quelli già noti dell’attività svolta, ad esempio l’esercizio fisico, con quelli sempre meglio definiti del verde, parchi urbani compresi, come luoghi capaci di mitigare gli effetti dannosi degli ambienti urbani: inquinamento da smog, luminoso e da rumore, isola di calore e così via. L’osservazione di come e quanto fosse benefica la sola frequentazione di foreste selvatiche, senza la pratica di alcuna attività, ma con un atteggiamento fisicamente e psicologicamente ricettivo e relazionale nei confronti dell’ecosistema circostante, Shinrin-Yoku o Immersione in Foresta, ha però comportato la necessità di individuare gli elementi presenti in tali ambienti potenzialmente attivi sulla salute umana, e di comprendere come e quali interazioni tra questi e l’organismo umano risultassero efficaci, anche per determinate patologie.
E’ infatti specificato che lo Shinrin-Yoku non è una forma di esercizio fisico, un’escursione o una variante dello jogging: consiste semplicemente nell’entrare in contatto con la natura, nel connettersi ad essa attraverso le sensazioni fisiche e che non è necessario alcun impegno mentale3. E’ stato quindi ipotizzato che l’efficacia dell’“atmosfera” forestale sulla salute umana fosse principalmente legata all’azione dei fitoncidi, olii essenziali del legno come l’α-pinene e il limonene, che in vitro hanno dimostrato di indurre significativamente l’attività citolitica delle cellule Natural Killer così come i livelli di espressione di perforina, granzima A e granulisina4.
Tuttavia, gli studi concentrati su singoli elementi della foresta, come appunto i fitoncidi ma anche i paesaggi visivi e altri, rapportati a singole funzioni umane5, hanno dato e continuano a dare risultati discordanti. Soltanto l’impegno ad osservare sia gli ecosistemi forestali sia l’organismo umano quali sistemi complessi sta conducendo verso la comprensione di un possibile meccanismo d’azione tanto complicato da dettagliare quanto plausibile da comprendere nella sua immediata e progressivamente sempre più incisiva efficacia per la salute umana, quando inserito in una prospettiva sistemica. Una prospettiva sempre più diffusa in ambito medico, soprattutto per meglio comprendere e affrontare le malattie croniche.
Natura complessa delle malattie croniche
Le malattie croniche rappresentano infatti uno dei principali problemi di salute pubblica dei Paesi occidentali e una sfida alla sostenibilità dei loro Sistemi Sanitari. In Italia esse sono state stimate come responsabili del 91% di tutte le morti ed è osservata una crescente prevalenza di pazienti con più patologie – un terzo della popolazione adulta e oltre due terzi della popolazione anziana6. Questa situazione ha costretto ad avviare cambiamenti organizzativi nell’assistenza sanitaria e soprattutto, concettuali in ambito medico.
Nell’approccio biomedico “riduzionista”, infatti, la singola malattia è una rappresentazione formale (ontologia) definita sulla base del consenso dei clinici, che corrisponde ad un insieme di caratteristiche manifestate (fenotipo) unico e stabile, al quale l’agire del medico si riferisce come guida: la diagnosi viene effettuata cercando la corrispondenza tra il quadro clinico del paziente e una determinata malattia-ontologia già nota. La diagnosi così effettuata determina un iter altrettanto condiviso per la ricerca dei rimedi e, dove possibile, il ripristino della salute.
Nella realtà, quando la guarigione non è completa, in ogni individuo gli esiti della malattia si cronicizzano in modo diverso, complicandosi in modi spesso imprevedibili, con disfunzioni a carico di altri organi e sistemi e con la comparsa di altre patologie (co-morbilità). La co-morbilità, così come la multi-morbilità, corrisponde a quadri clinici complessi differenti in ogni individuo e per i quali, dunque, non esistono né possono esistere “rappresentazioni formali” condivise alle quali fare riferimento certo, sia per la diagnosi sia per la terapia. Ma, soprattutto, non è risultato efficace trattare questi quadri clinici come somma delle singole malattie osservate8. La difficoltà nasce, però, proprio dal metodo scientifico che ha consentito di giungere a rappresentare formalmente le singole malattie e gli atti medici opportuni per ciascuna. Infatti, allo scopo di ottenere quadri “puri”, cioè privi di interferenze e variabili confondenti, gli studi scientifici effettuati per la definizione delle Linee Guida mediche arruolano popolazioni il più possibile omogenee, escludendo proprio, tra gli altri, i soggetti con ulteriori condizioni morbose o in fasce d’età e target di popolazione considerati di per sé variabili. Una revisione sistematica dei criteri di selezione per l’arruolamento nei trials clinici randomizzati del 20079 riporta, ad esempio, che malattie molto diffuse e limiti di età predefiniti erano motivo di esclusione, rispettivamente nell’81% e nel 72% degli studi. Le donne, i bambini e soprattutto gli anziani e i pazienti con condizioni morbose comuni erano quelli esclusi con maggiore frequenza.
Se ne evince che i quadri di riferimento “puri” rappresentino una situazione relativamente rara da incontrare nella pratica clinica e alla quale ci si deve invece riferire per situazioni reali molto diverse e diversificate, il che induce ad un agire necessariamente sommatorio, dove ogni specialista identifica la malattia di pertinenza, per la quale opera la diagnosi e prescrive la terapia, e quindi il paziente passa al vaglio di un altro specialista, e così via. Il risultato è, tra l’altro, una sovra prescrizione di farmaci che possono interferire tra loro e addirittura aggravare il quadro clinico globale. Questa situazione costringe i medici ad operare in una costante incertezza, combattuti tra la scelta di aderire alle prassi considerate consolidate, anche quando scarsamente efficaci, o agire di iniziativa, operando scelte che, sulla
base della loro competenza, sembrerebbero più aderenti alla situazione del singolo paziente, ma senza avere elementi di oggettività a supporto. In altre parole, la Scienza Medica si trova oggi in una fase di grande transizione nella quale si sta avviando verso un cambiamento radicale che possa rispondere efficacemente alla realtà complessa che deve affrontare. Per tali ragioni è stato necessario inserire in Medicina il concetto di “complessità”, il quale considera l’insieme delle diverse condizioni morbose non solo in quanto compresenti, ma nella loro interazione multidimensionale (comorbilità, multi morbilità a genesi comune o differente, convergenza su elementi clinici comuni, interconnessione con diversi gradi di acuzie, intensità o severità, ecc).
In questa nuova prospettiva i sistemi biologici dell’organismo umano costituiscono una realtà unitaria che supera le singole parti, per cui la comprensione del sistema richiede la valutazione contemporanea delle sue componenti, senza regole gerarchiche. Per la stessa definizione di complessità si fa riferimento all’origine etimologica del termine complesso, cum+plècto ovvero intrecciato, tessuto insieme, rispetto al termine complicato, cum+plicum ovvero con pieghe e quindi che può essere s-piegato. In tal senso, la base concettuale della “Medicina riduzionista”, secondo la quale l’individuo malato poteva essere semplicemente “de-strutturato” nelle singole patologie dalle quali era affetto, valutate in maniera analitica e isolata dal “tutto-individuo”, e s-piegate pienamente dalla conoscenza delle loro parti costituenti o da semplici regole causa-effetto, viene sostituita da quella della Systems Medicine, che considera l’individuo, sano o malato, come un sistema complesso, strutturato su sistemi e apparati, organi, tessuti e cellule, in cui le singole parti che lo compongono interagiscono fra loro in modo dinamico, fisiologicamente e fisiopatologicamente, realizzando un unico sistema funzionale, capace anche di auto organizzarsi in relazione all’ambiente che lo circonda. In tal senso, anche il malato complesso può essere raffigurato come una rete composta da nodi e fili di unione, in cui non tutti i nodi sono in connessione fra loro con la stessa quantità e qualità di interazioni (positiva, negativa, feedback ecc.)10 e che mostra dunque proprietà e regolarità che non sono pienamente spiegate dalla conoscenza delle loro parti costituenti.
A tali considerazioni teoriche devono necessariamente seguire modellizzazioni applicabili nella pratica medica reale e, paradossalmente, le prime a dotarsi di una metodologia riferita proprio alla complessità sono state le discipline che studiano gli elementi più piccoli del corpo umano. Lo sviluppo tecnologico ha infatti consentito di analizzare su vasta scala DNA, mRNA, proteine e metaboliti, comprendendone le complesse inter relazioni e contribuendo al progresso di quella che viene definita Systems Biology. La Systems Biology raccoglie informazioni rilevanti per l’identificazione di nuovi approcci innovativi di diagnosi e terapia che consentiranno, a loro volta, di sviluppare un approccio personalizzato di Systems Medicine e modelli gestionali che le siano consoni11. Dalla System Biology si è ritenuto che potesse sorgere dunque la “Network Medicine”12, che poteva prendere in considerazione le reti biologiche a molti e diversi livelli (geni, transcritti, proteine, metaboliti, organelli, cellule, organi, apparati, organismi), consentendo obiettivi e modelli medici sempre più utili: medicina personalizzata, medicina predittiva, “4Ps Medicine” (predittiva, preventiva, personalizzata, partecipativa).
Quest’ultima prevede la personalizzazione dell’assistenza sanitaria in grado di conciliare le differenze individuali durante tutte le fasi del processo (prevenzione, diagnosi, trattamento, follow-up)13. Ma alle 4P è già stato proposto di aggiungerne una quinta, che riguarda gli aspetti psico-cognitivi e che quindi indaga le caratteristiche patologiche individuali e istantanee, considerando i fattori genetici e biologici, epigenetici e ambientali, stili di vita e, appunto, aspetti psico-cognitivi14.
Il modello dell’esposoma
Non ultimo, a complementarietà del genoma umano15, è stato concettualizzato e si sta evolvendo, soprattutto in Europa16, l’“esposoma”, per rappresentare l’analisi sistematica e completa dei fattori non genetici che influenzano la salute umana e per comprendere le basi dei meccanismi etiopatogenetici delle malattie complesse17. L’obiettivo è quello di superare anche la linearità riduzionista di associazioni “una esposizione-un risultato”, per giungere a mettere in relazione la vulnerabilità individuale con la globalità dei rischi ambientali, su piccola e vasta scala, rivedendo pertanto anche l’intera progettazione della promozione della salute e della prevenzione delle malattie. Del resto, l’attuale pandemia di COVID-19 ha reso evidente come le disuguaglianze riscontrate, sia nella diffusione sia nella gravità, siano legate all’esposizione ambientale e non solo a fattori genetici.
Anche se in molti Stati, come l’Italia, la temporanea mancanza di certezze metodologiche e di studio fa sì che l’approccio alla complessità sia tutt’ora per gran parte escluso dalla formazione curriculare dei nuovi medici e sia discusso prevalentemente negli eventi di confronto scientifico e di aggiornamento professionale, fervono protocolli sperimentali in tutto il mondo, Italia compresa, e via via che si ottengono informazioni utili vengono tentate operazioni di sintesi, a loro volta nuovamente sperimentate, e devono essere rivisti tutti i sistemi di studio e di verifica di riferimento. Non ultimi quelli dell’epidemiologia che, per le sue analisi, necessita che vengano descritti i nuovi quadri patologici complessi, gli esiti delle nuove analisi dei rischi, comprese le nuove strategie preventive. Infatti, anche l’esposoma rappresenta una nuova sfida, perché gli attuali metodi statistici non sono ancora in grado di districare in modo efficace le esposizioni ambientali che impattano dinamicamente sulla salute umana18.
Per ora, molti studi si concentrano sulla temporalità dell’esposizione, a partire dal concepimento e quindi nell’arco della vita, e su specificità come i contaminanti chimici e gli agenti infettivi, o su generalità, come il clima e le condizioni socioeconomiche, valutando ciò che è presente nell’ambiente. Nel loro insieme, questi fattori rappresenterebbero un carico allostatico capace di innescare sia l’infiammazione acuta sia la sua cronicizzazione. Il carico allostatico derivato rappresenterebbe, quindi, il meccanismo etiopatogenetico comune alla gran parte delle malattie croniche19,20.
Ma altri filoni di ricerca, benché ancora troppo spesso sviluppati in ambiti settoriali separati, ad esempio tra biologia e psicologia, sono interessati invece all’eventuale influenza di ciò che nell’ambiente manca. In particolare, si osserva come la ridotta esperienza precoce della biodiversità rappresenta un fattore primario per la disregolazione immunitaria e una maggiore propensione all’infiammazione di basso grado, aumentando il rischio di allergia e di molte altre malattie non trasmissibili ad esordio tardivo, anche attualmente implicata nella suscettibilità all’infiammazione acuta nell’infezione da COVID-19 e, contemporaneamente, porterebbe all’apatia emotiva e a comportamenti irresponsabili nei confronti dell’ambiente21.
Le terapie forestali per la prevenzione e la cura delle malattie croniche Le premesse a queste nuove sfide che la Medicina sta affrontando consentono di comprendere come le Terapie Forestali possano e debbano essere inquadrate proprio in una prospettiva non di “riduzionismo” ma di “complessità”. Una complessità per la quale la System Medicine è ancora un working in progress al quale si può contribuire senza poter tuttavia giungere a conclusioni definitive e dove, al contempo, l’incertezza non può rappresentare la rinuncia ai criteri di rigore metodologico della scienza medica. Ciononostante, paradossalmente, le Terapie Forestali potrebbero contribuire alla System Medicine come un trattamento “semplice” ed efficace proprio per le malattie complesse, su più livelli. Sono indicativi in tal senso gli studi clinici controllati randomizzati (RCT) che analizzano gli effetti della sola pratica delle “Immersioni in Foresta”, cioè la frequentazione di foreste con passeggiate tranquille al loro interno, senza la proposta di ulteriori attività o esercizi salutari e adatta pertanto anche a soggetti fragili. Ad esempio, un RCT che ha interessato soggetti anziani affetti da malattia polmonare ostruttiva cronica (BCPO)22, dopo 4 giorni e 3 notti di Immersione in Foresta, ha osservato una significativa diminuzione delle espressioni di perforina e granzima B, accompagnata da livelli ridotti di citochine pro-infiammatorie e ormoni dello stress, insieme ad una diminuzione dei punteggi nelle sottoscale negative del Profilo degli Stati dell’Umore (POMS), contrariamente a quanto osservato nel gruppo di controllo in città. La stessa proposta è stata attuata in un altro RCT, che ha coinvolto soggetti anziani con insufficienza cardiaca cronica (CHF)23: rispetto al gruppo cittadino, nei partecipanti che hanno effettuato l’Immersione in Foresta è stata osservata una significativa riduzione del peptide natriuretico cerebrale (BNP), valori inferiori dei fattori patologici correlati alle malattie cardiovascolari, tra cui endotelina-1 (ET-1) e costituenti del sistema renina-angiotensina (RAS) quali renina, angiotensinogeno (AGT), angiotensina II (ANGII) e recettori ANGII 1 o 2 (AT1 o AT2), oltre ad un livello ridotto di citochine infiammatorie, una migliore funzione antiossidante e un alleviamento dell’umore negativo valutato con il POMS.
Uno studio pilota effettuato su donne con carcinoma mammario in stadio III, in trattamento standard24, ha osservato che 14 giorni di permanenza in foresta hanno migliorato in modo significativo gli indici immunitari misurati (livelli di perforina e granzyme B, numero di cellule Natural Killer), suggerendo che le Immersioni in Foresta possano risultare efficaci anche nel contrastare l’immunosoppressione e la citotossicità naturale indotta dalle terapie antitumorali. Ulteriori studi hanno evidenziato il beneficio delle Terapie Forestali su altre patologie considerate complesse, come il diabete25, l’ipertensione26, le malattie renali croniche27, asma e malattie allergiche28, le dermatiti atopiche29, su patologie o disturbi non ben inquadrati, come il dolore cronico30 e su disturbi correlati ad altre patologie, come l’insonnia nei malati di cancro31 o ansietà e depressione nell’ictus cronico32. Ciò suggerisce che le Terapie Forestali possano rappresentare l’opportunità di diminuire anche la sovra prescrizione e l’abuso di farmaci con le loro conseguenze: quelle direttamente individuali, come gli effetti collaterali, e quelle sugli ecosistemi, per l’inquinamento ambientale che provocano, tornando, attraverso questo, ad impattare indirettamente sulla salute individuale. La capacità di modulare e migliorare un ampio spettro di parametri fisiologici, insieme alla loro accessibilità, fa pertanto ritenere che le Terapie Forestali rappresentino un’efficace pratica per la promozione della salute33 e la prevenzione primaria e secondaria delle malattie croniche34,35,36.
Per meglio comprendere il meccanismo d’azione della frequentazione delle foreste sull’organismo umano è già stato avviato un approccio in termini sistemici, abbandonando l’idea che organi e apparati siano indipendenti l’uno dall’altro. In questa nuova ottica, si è visto che le Immersioni in Foresta agiscono sull’intera rete psico-neuro-endocrino-immunitaria e a questa azione sistemica sono dovuti gli effetti positivi per la salute umana37. Benchè molti degli studi sinora effettuati denuncino limiti metodologici38, vi sono numerose prove a sostegno del fatto che le Terapie Forestali possano agire contemporaneamente su più livelli, da quello epigenetico, probabilmente ad opera della biodiversità microbica39, a quello di organo e sistema40 e a quello psicologico, cognitivo e sociale41. Risulta inoltre sempre più evidente che l’azione sistemica delle foreste sia correlata alle caratteristiche dell’ecosistema forestale che, quando realmente sano e ricco di biodiversità, risulta efficace indipendentemente dagli eventuali esercizi svolti in essi42. Anzi, questi possono talvolta essere di ostacolo all’ottenimento degli ulteriori benefici attesi rispetto alla pratica indoor43.
In altre parole, l’efficacia sembra dovuta esclusivamente alle foreste che, in una prospettiva esposomica e correttamente approcciate, consentirebbero l’auto organizzazione adattiva dell’organismo umano, offrendo sollievo immediato al carico allostatico ambientale, ma agendo anche attivamente e positivamente sull’infiammazione ormai cronicizzata, come nelle malattie complesse, e persino in soggetti anziani. Esse faciliterebbero anche il ripristino di una fisiologica immuno-modulazione, laddove questa risultasse disregolata per una prolungata mancanza di contatto con la Natura, come è descritto nelle malattie allergiche. Infine, favorirebbero il ripristino del senso di appartenenza al mondo naturale, a sua volta risultato direttamente benefico per la salute individuale e facilitante l’adozione di comportamenti salutari e sostenibili44.
Naturalmente, perché ciò sia vero è necessario che esse siano studiate e applicate con criteri metodologici appropriati a ciascun ambito scientifico, incluso quello medico, e non siano oggetto di improvvisazioni o, ancora una volta, di prospettive unidisciplinari. A tal fine, sono richieste procedure precisamente descritte e un monitoraggio accurato, sia dei singoli interventi sia delle caratteristiche dei partecipanti sia degli ambienti dove vengono svolti, comprese le loro variabili dinamiche. Le procedure attuative e i monitoraggi devono inoltre tenere via via in considerazione i progressi di conoscenza relativi alla complessità in Medicina, aggiornandosi per essere più efficaci sui singoli individui e per sempre meglio inserirsi e agevolare le metodologie gestionali della sanità pubblica, per la promozione della salute ma anche nella riabilitazione e in contesti terapeutici residenziali. Per tali aspetti saranno necessari esperti in statistica ed epidemiologia a loro volta aggiornati. Lo sviluppo delle Terapie Forestali non deve pertanto realizzarsi in modo isolato e avulso, ma partecipare attivamente e in modo propositivo, dimostrandosi capace di adattarsi alle realtà locali e a quelle nazionali.
La richiesta è quella di una professionalità interdisciplinare, con solide competenze nell’ambito delle Terapie Forestali e della “complessità”, quest’ultima riferita sia alla persona umana sia agli ecosistemi forestali che, a loro volta, devono essere osservati nell’ottica esposomica e non in quella riduzionista “un elemento o caratteristica-un effetto”, andando dunque oltre, ad esempio, le preferenze paesaggistiche o l’azione dei singoli fitoncidi.
Così sviluppate, le Terapie Forestali potranno integrarsi utilmente con terapie affini svolte in ambienti urbani e periurbani, ad esempio con la sport terapia, e contribuire in modo incisivo sulla cultura e i comportamenti pro-ambiente di ampie fasce di popolazione, che sono diventanti ormai urgenti e irrinunciabili. Esse accettano inoltre la sfida dell’inclusione, anziché dell’esclusione, di tutti gli aspetti psicofisici umani, compresi quelli culturali e sociali, senza attribuire ad essi gerarchie, e delle molteplici variabili individuali, anche quando descrivono quadri fisiopatologici complessi.
Infine, le Terapie Forestali, per il loro alto gradimento, garantiscono la compliance partecipativa necessaria proprio per la promozione della salute e per il trattamento delle patologie croniche complesse.
Conclusioni
Benché il meccanismo d’azione delle Terapie Forestali non sia stato ancora ben definito, esse hanno dimostrato di agire positivamente su un ampio spettro di parametri fisiologici umani, da quelli immunitari a quelli metabolici, cardiovascolari e respiratori, e sulla salute mentale. Ciò consente di proporle come una efficace e accessibile pratica di promozione della salute e di prevenzione, anche nei confronti delle patologie croniche.
In particolare, le Immersioni in Foresta, che non prevedono alcun impegno fisico o mentale, risultano adatte anche alle fasce di popolazione fragili, garantendone la compliance per la loro semplicità e gradevolezza. In un’ottica sistemica, i benefici ottenibili da ciascun paziente dipendono sia dalle sue esigenze e caratteristiche psicofisiche sia dalle peculiarità delle foreste frequentate, compresa la biodiversità che contraddistingue ciascuna e la dinamicità dei suoi comportamenti, in relazione alle stagioni, al clima e all’orario. Anche le caratteristiche abiotiche, come l’altitudine e la pendenza dei percorsi, vanno prese in considerazione per eventuali indicazioni o controindicazioni.
Per poter dunque orientare ciascun paziente alle attività e agli ambienti che gli sono via via più consoni, oltre che accessibili, è necessario definire Linee Guida alle quali possano riferirsi i medici prescrittori, i conduttori in foresta e gli operatori forestali. Per la loro stesura, così come per l’approfondimento della ricerca scientifica, per la definizione di modelli operativi territoriali e per la pianificazione terapeutica individuale, è richiesta una collaborazione interdisciplinare di figure professionali appartenenti ai diversi ambiti scientifici coinvolti ma, ciascuno, con almeno alcune competenze di base sulle Terapie Forestali.
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